Labirinto XXVIII
Il tema del Labirinto
è ricorrente, da tempo, nell’opera incisoria di Toni Pecoraro, da diventare
quasi un suo segno distintivo ed identitario. Quasi illustrasse le pagine di un
diario intimo sperimentando la forma circolare, che si avvolge a spirale su se
stessa che da Cnosso ha accompagnato l’arte e l’immaginario dell’Occidente, in
contesti diversi che ne rinnovano il significato e la potenzialità evocativa e
di suggestione, in uno spazio inventato al di fuori del tempo, che mescola
cronologie impossibile e le ripropone in ricostruzioni che hanno la nitidezza
dei disegni tecnici ricostruttivi degli architetti - o meglio oggi della
computer grafica -, in questo paesaggio che evoca Ravenna, l’ultima capitale
imperiale romana occidentale e sede di una nuova sperimentazione di
contaminazione di civiltà con i Goti, sia di Odoacre che di Teodorico, che sarà
poi bizantina. Il labirinto in primo piano racchiuso da un preciso quadrato che
lo isola dalle rovine intorno, è la traduzione in pietre ben squadrate e
disposte con un ordine rigoroso, per lo più con la sovrapposizione di due
blocchi a spire dedaliche del disegno del pavimento a tessere marmoree della
basilica di San Vitale a Ravenna, ritenuto per molto tempo di epoca medievale,
mentre in realtà è stato realizzato nel XVI secolo, quando il livello del
pavimento fu rialzato per evitare i continui allagamenti. Il labirinto di San
Vitale ha come caratteristica il carattere monodirezionale del suo percorso:
piccole frecce a forma di triangolo guidano lo sguardo dal centro verso
l’uscita. Nell’incisione di Pecoraro questi elementi sono spariti, sostituiti da
un sentiero di terra battuta che si snoda tra i muretti di blocchi di pietra,
mentre è rimasta ben leggibile la via d’entrata affiancata da una diversa e
parallela via di uscita, tipica del labirinto ravennate, dove, come qui, le
volute sono sette. Ancora: ci sono in realtà due ingressi posti uno
perpendicolare all’altro, poiché le frecce ravennate indicano che il punto di
partenza è quello che volge la schiena all’abside con gli splendidi mosaici,
per uscire dalla parte opposta verso una conchiglia, che qui non c’è. Entrambi,
il ravennate e quello di Pecoraro, sono un modello del mondo e riprendono un
labirinto unicursale, che corrisponde alla forma di quello di Cnosso, alla
prima iconografia, dunque.
Umberto Eco ha descritto la forma dell’unicursale: “Provate
a seguirne il cammino con una matita: esso rappresenta una struttura sicura e
consolatoria, perché come vi si entra non si può che raggiungere il centro e
dal centro non si può che tornare all’uscita. Se il labirinto unicursale fosse
srotolato, ci ritroveremmo tra le mani un unico filo, quel filo di Arianna che
la leggenda ci presenta come un mezzo (estraneo al labirinto) per uscire dal
labirinto, mentre di fatto altro non era che il labirinto stesso.” La forma
tuttavia conserva il suo rimandare ad un percorso iniziatico, ad un cammino che
percorrendo la spirale ingenerava una corrente energetica, in grado di
purificare e di elevare. Le sette volute sono finalizzate a caricarsi di
energia cosmica, abbandonando quella pesante e terrestre. Da qui anche l’isolamento
dallo spazio naturale circostante in questa incisione che ne preserva il
carattere magico ed emblematico. La forma di rovina archeologica tuttavia
sembra dirci che esso è sopravvissuto come segno da un’altra epoca, da un’altra
fede. Il mausoleo di Teodorico con la sua straordinaria bellezza e unicità, su
di un lato, marginalmente accentua questo senso di sopravvivenza da un’epoca
remota, sottolineata da rovine all’intorno e dal mare quieto sullo sfondo in
contrasto con un cielo turbinoso e misterioso percorso da correnti e
apparizioni di mondi, che venendo da lontano, sembrano avvicinarsi a noi. Una
immagine che è simile a quella che D’Annunzio propone ne “le città del
silenzio”: “Ravenna, glauca notte rutilante d’oro, / sepolcro di violenti custodito
/ da terribili sguardi, / cupa carena grave d’un incarco / imperiale, ferrea,
construtta /… spinta dal naufragio / ai confini del mondo, / sopra la riva
estrema!”. La doppia prospettiva usata da Pecoraro: una a volo d’uccello per il
labirinto e l’altra frontale per il mausoleo crea inoltre quel senso di magica
sospensione dell’immagine che ha nella turbolenza del cielo la sua chiusura
drammatica, come se quello che si è visto prima fosse di un’altra epoca,
lontano nel tempo: l’incanto di un sogno.
Parma, all’inizio della terza fase dalla pandemia 2020
Marzio Dall’Acqua