Giubileo 2000



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Giubileo 2000
, 2000
acquaforte, acquatinta e vernice molle
mm. 493x328, tiratura 94
esemplari.

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Giubileo 2000

 La facciata della basilica di San Pietro domina l’immagine, dilatandosi oltre l’abbraccio del loggiato berniniano con le sue colonne che, con ritmo musicale, vorrebbero poter accogliere una cristianità assente in una Roma spettrale, fitta d’ombre e solitaria di presenze, sotto una luce sospesa e metafisica. Proprio la miniaturizzazione dei porticati del Bernini su colonne con una trabeazione senza metope e triglifi, alla Vignola, accentua il fuori misura di questa fronte di basilica che sembra ergersi verso il cielo ed insieme raggrinzirsi, accartocciarsi, ogiva malformata che ascende verticalmente. La facciata in orizzontale, bassa e larga, realizzata da Carlo Maderno tra il 1607 e il 1614 viene schiacciata, compressa, proiettata verso l’alto, ingigantita in una deformazione che ne snatura il luminoso ritmo in un’inquietante materia corrosa e rovinosa, che incredibilmente sopravvive ancora senza sfaldarsi o sgretolarsi, mentre la cupola michelangiolesca ha perso il suo elegante equilibrio per affilarsi in una cuspide periclitante enfiata e sghemba. I due campanili di Giuseppe Valadier emergono con una presenza eccessiva che contende il cielo e la rovina al bubbone michelangiolesco. C’è qualcosa di insano, di malato, di corroso, di tormentata erosione in questo elevarsi che sembra dinamico, inarrestabile, seppur lento. In qualche modo inesorabile. Vedendo gli elementi architettonici, le finestre, il frontone centrale, la loggia delle Benedizioni sgretolarsi, eruttando materia incongrua, viene il sospetto che si tratti di una scena che nasconde una rovina, dietro, ormai devastante, un ultimo tentativo di dare forma ad un ordine sconvolto, al quale la città lillipuziana che la circonda, con i suoi ritmi quotidiani, i suoi spazi, i suoi monumenti in scala sembra estranea, indifferente. Una quinta di una rappresentazione ormai impossibile senza attori e senza spettatori. Nel gigantismo di questa basilica smisurata nella sua precarietà vi è sia il senso del distacco dal terreno, dell’allontanarsi verso il cielo, che l’oppressione indifferente verso la città che si stende ai suoi piedi nitida nella sua topografia, segnata dal Tevere, con i ponti e le anse dolcemente sinuose, con la fitta rete di urbanizzazione millenaria che mescola secoli e stili in una ragnatela di edifici, delineati da Toni Pecoraro con la precisione miniaturista di un antico cartografo umanista, usando una prospettiva a volo d’uccello, che dal basso sale verso l’alto fino a fermarsi e scontrarsi contro la facciata della basilica, che in verticale, in una prospettiva frontale, contrasta e blocca la fuga verso l’infinito, limite al dilatarsi della città. Come Pecoraro usa due diverse prospettive in una stessa immagine, così usa due luminosità diverse: quella uniforme, netta ed incisiva che senza una vera sorgente luminosa soffonde il distendersi quieto della città definendone ogni particolare e quella del cielo verso cui tende la facciata della basilica che sta perdendo forma: un cielo a fasce, come quelli della tradizione teologica, dantesca, per intenderci, a cui dovrebbe mirare l’anima di ogni uomo, ma che ha qualcosa insieme di teatrale e di precario, con evidenti grandi vuoti, come di una scenografia rabberciata in fretta, non ultimata, a chiudere uno spazio circolare in alto assolutamente piatto e vuoto. Nella tradizione iconografica cattolica questa rappresentazione porta al cielo da cui appare una presenza o segni del divino: qui c’è solo la sensazione di un buco vuoto vagamente nebuloso e quindi ancor più inquietante. Il titolo “Giubileo 2000” ci dice della crisi della Chiesa cattolica del suo difficile rapporto con il mondo attuale, che la spinge a chiudersi su se stessa, su una esaltante eccitazione che glorifica un passato ormai non più attuale. Non a caso la facciata così schiacciata su se stessa e proiettata a staccarsi dal suolo ha un carattere barocco che cancella il ritmo sereno e quietamente musicale dell’originario progetto rinascimentale, con una corrosione che ha il sapore della rovina, della sopravvivenza e dunque della morte. E questo ha anche un senso ironico se si pensa che questa facciata è stata restaurata in occasione del giubileo del 2000, e riportata ai colori originariamente voluti da Maderno, con una chiarità e luminosa serenità ancor più accentuata, per cui il contrasto con la rappresentazione che ne offre Pecoraro è ancora più enfatizzata.

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 Marzio Dall’Acqua